Con propria ordinanza il Tar Marche, Sezione I, n. 105 del 15.2.2025, n. 105, ha ritenuto di rimettere alla Consulta la questione di legittimità costituzionale delle norme che prevedono, per i soli dipendenti del comparto difesa e sicurezza, il pagamento differito del c.d. TFS o trattamento di fine servizio (analogo al TFR).

Infatti, come noto, per il pagamento di tale emolumento è prevista una dilazione temporale che può arrivare anche fino a 7 anni (tre rate addirittura!), senza che al malcapitato ex dipendente del comparto difesa e sicurezza vengano riconosciuti neppure la rivalutazione monetaria e gli interessi.

Il che, ex sé, comporta un danno ingentissimo a coloro che si trovano a ricevere il TFS dopo anni rispetto alla data di congedo, con inevitabile “perdita di valore” della quota loro spettante, erosa da inflazione e reale aumento del costo della vita.

Senza contare che con questo meccanismo si impedisce all’avente diritto di “mettere a rendita” la somma dovutagli (es. investendola in strumenti finanziari o altro), generando interessi e quindi ricchezza.

Interessi e svalutazione di cui si avvantaggia, ovviamente lo Stato che, ex lege, ritarda ad libitum l’erogazione delle somme dovute anche agli ex appartenenti del comparto Difesa e Sicurezza.

Il Tar Marche torna ancora una volta sull’argomento.

Già in passato la dilazione nel pagamento del Tfs è stata fatta oggetto di analitica valutazione da parte della Corte Costituzionale, dapprima con la sentenza 159/2019, poi con la sentenza 130/2023.

Sentenze accertative della incostituzionalità della norma ma non precettive, essendosi limitate ad invocare l’intervento normativo per far cessare definitivamente tale obbrobrio giuridico nato per fronteggiare una situazione emergenziale e divenuto poi una regola generale e granitica, per quanto odiosa.

In questa situazione di stallo è intervenuto il Tar delle Marche che, come detto, ha sollevato, ancora una volta, la questione di costituzionalità affermando, testualmente, “va dunque sollevata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2, del D.L. n. 79/1997, convertito nella L. n. 140/1997, e s.m.i., e 12, comma 7, del D.L. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella L. n. 122/2010, e s.m.i., per il profilo relativo all’omesso adeguamento delle norme medesime alle sentenze della Corte Costituzionale n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023, visto che l’inerzia del legislatore reitera la lesione sostanziale del diritto del dipendente pubblico cessato dal servizio per raggiunti limiti di età alla percezione di una retribuzione (in questo caso differita) sufficiente e proporzionata all’attività lavorativa svolta dall’interessato (art. 36 Cost.). La lesione sostanziale discende dalla dilazione temporale e dalla rateizzazione del pagamento della somma dovuta, non accompagnate da un meccanismo di adeguamento degli importi pagati all’andamento dell’inflazione.

Ma il Tar delle Marche è andato oltre, affermando e sottolineando che con l’ultima pronuncia(ndr. la 123 del 2023) la Consulta avrebbe “adottato una c.d. sentenza monito, ossia ha accertato l’incostituzionalità delle norme di legge sottoposte al suo giudizio, ma non l’ha dichiarata formalmente sul presupposto che la riforma organica della materia compete solo al legislatore, venendo in rilievo vari interessi di rango costituzionale la cui ottimale composizione implica delicate valutazioni di ordine politico, relative anzitutto al procacciamento della provvista finanziaria necessaria per ricondurre il sistema alla legittimità costituzionale”.

Un “monito” che, all’evidenza, è rimasto lettera morta se è vero com’è vero che, terminata la situazione emergenziale posta a ratio della norma e a distanza di anni dall’intervento della Corte Costituzionale, il potere legislativo si è ben guardato dall’intervenire rimuovendo questa lapalissiana quanto grossolana ingiustizia che viene perpetrata, da anni, in un silenzio assordante.

Tanto ciò è vero che , come detto, il Tar Marche con ord. 105 del 15.2.2025, ha ritenuto di sollevare, ancora una volta, la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la vigente normativa sulla dilazione del TFS, sussistendo, a suo parere, “fondati argomenti per sostenere che allo stato il legislatore non si è oggettivamente adeguato alle sentenze n. 159 del 2019 e n. 130 del 2023 (mentre in questa sede non sono valutabili eventuali ragioni che giustifichino tale inerzia)”.

Precisava ed aggiungeva il Tar marchigiano che si trattava di “sentenze di monito”, come tali non vincolanti per il legislatore, costituendo, peraltro, un artifizio giuridico per pronunciare l’incostituzionalità di una norma senza obbligare il legislatore ad intervenire o il poter giudiziario a disapplicarla, ma i Giudici marchigiani non potevano esimersi dal sottolineare che “per un verso è del tutto ovvio che non si possa pretendere un adeguamento immediato da parte del legislatore (stanti anche i tempi tecnici necessari per l’approvazione di una proposta di legge)….. ma è altrettanto ovvio che le decisioni della Corte, per non tradursi di fatto in grida di manzoniana memoria, debbono essere ottemperate in un tempo ragionevole, che però non può essere stabilito dal giudice di merito, ma solo dal Giudice delle leggi”.

Ed è proprio questo il tema nuovo affrontato dal Tar delle Marche nell’esaminare la questione sottoposta alla sua attenzione, ovvero la constatazione che il pagamento differito del TFS perdura dal 2011, grazie alle imposizioni del c.d. Governo Monti, un Governo NON eletto dai cittadini ma, appunto, imposto e da allora, nonostante il duplice intervento/ammonizione/monito della Consulta nulla è mutato.

E sono passati la bellezza di 14 anni.

Proprio sulla mancata ottemperanza ai precetti costituzionali entro un tempo che il Tar definisce ragionevole si appuntano gli strali dei Giudici marchigiani che, pertanto, invocano nuovamente l’intervento della Corte Costituzionale nel tentativo di riequilibrare una situazione kafkiana e foriera di danno per i pensionati sotto il profilo della perdita del potere di acquisto della moneta loro liquidata sotto forma di TFS.

Un danno irrimediabile e senza ritorno che vengono costretti a subire in forza di una norma di legge tanto ingiusta quanto irragionevole, essendo da tempo cessata la situazione emergenziale che ne aveva comportato, a detta del legislatore, l’adozione.

Insomma un po’ come la componente delle accise sui carburanti per finanziare la ricostruzione del Belice dopo il terremoto del 1968 (!) e che grava ancora su tutti noi per € 0.0051 € su ogni litro di benzina o carburante acquistato da tutti noi, nonostante la ricostruzione sia terminata da 50 anni!

Ovvio che tutti i Governi siano restii a porre rimedio a questa situazione in quanto l’esborso, per l’Erario, sarebbe certamente multimiliardario per cui, se non ci sarà un intervento precettivo della Consulta, confidare in una modifica volontaria di questo sistema, da parte del potere legislativo, appare semplicemente utopico, anche se, nel tempo, il debito non fa che aumentare a dismisura.

E’ poi inqualificabile che un pensionato del comparto Difesa e Sicurezza si veda liquidare il proprio TFS dopo anni e anni senza neppure che gli vengano riconosciuti rivalutazione e interessi, rimanendo a proprio totale detrimento e danno questa liquidazione differita per legge.

E’, infatti, intuitivo che i denari che spetterebbero al pensionato del Comparto Difesa e Sicurezza al momento del suo congedo, hanno un valore intrinseco diverso e sicuramente minore rispetto a quelli liquidatogli, nello stesso identico importo, ad anni di distanza.

Per l’eliminazione di questo evidente vulnus sarebbe sufficiente prevedere che al pagamento differito del TFS fossero applicabili rivalutazione monetaria e interessi, la cui erogazione è invece esclusa ex lege, andando a creare, appunto, un danno irrimediabile al pensionato.

IL CONSIGLIO.
Per cui in attesa della pronuncia della Consulta che auspichiamo andare, per una volta, nella direzione dei pensionati invece di penalizzarli rinnegando anche le sue stesse precedenti pronunzie, consiglio tutti di inviare ad INPS una diffida formale e tracciabile ove chiedere la liquidazione degli interessi e la rivalutazione sulle somme percepite e da percepire a titolo di TFS, onde evitare che, in caso di pronuncia favorevole della Consulta, possa essere opposto un termine prescrizionale del diritto (a mio avviso quinquennale) a vedersi riconoscere interessi e rivalutazione sul TFS differito liquidato.
Per chi non avesse ancora ricevuta nessuna rata del TFS la diffida è ugualmente utile sia per bloccare la decorrente prescrizione, sia per diffidare INPS a voler pagare, sul TFS differito, interessi e rivalutazione, confidando, come detto, in una sentenza positiva e precettiva della Consulta.

Lo studio legale dell’Avv. Matteo Pavanetto è ovviamente a disposizione per redigere ogni diffida all’uopo necessaria.

Avv. Matteo Pavanetto

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