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La premessa.
Al fine di proteggere il potere d’acquisto dei pensionati, assicurando loro un tenore di vita adeguato e costante nel tempo, che si attagli, appunto, alle variazioni del costo della vita, il sistema pensionistico italiano ha adottato il c.d. meccanismo della “perequazione automatica”.

Cos’è la perequazione automatica?
Altro non è che un aumento periodico dell’assegno percepito mensilmente a titolo di pensione, aumento parametrato all’ andamento dell’inflazione.
Di fatto è un rivalutazione periodica dell’assegno pensionistico parametrato agli indici Istat.

Come funziona?
Attraverso la c.d. perequazione automatica, le pensioni vengono in qualche modo adeguate all’aumento del costo della vita al fine di salvaguardare, o tentare di farlo, il loro potere d’acquisto.

L’adeguamento automatico è “agganciato” alla variazione degli indici Istat che, da sempre, fotografano, in qualche modo, l’andamento periodico dell’inflazione e, quindi, la variazione dei prezzi dei beni inseriti nel c.d. paniere Istat.

Purtroppo, però, nonostante le ottime premesse e la sostanziale correttezza di siffatto principio giuridico che permette, in qualche modo, di non far perdere potere d’acquisto alle pensioni, soprattutto laddove, come nell’attuale contesto storico-economico, la spinta inflazionistica è molto evidente e pesante, l’ indicizzazione o rivalutazione non si applica allo stesso modo a tutti i trattamenti pensionistici.

E così sono circa 20 anni che, in nome di esigenze di bilancio non del tutto condivisibili, è in vigore un meccanismo che prevede l’indicizzazione piena per le pensioni più basse e la rivalutazione parziale per quelle d’importo superiore.

Meccanismo, certo odioso e sperequativo che è stato più volte oggetto del vaglio da parte della Corte Costituzionale che, pur estrinsecando principi giuridici molto importanti ha, di fatto, sempre cercato di salvaguardare il bilancio della Stato.

Con l’approvazione della legge di bilancio per il 2022, sembrava che, finalmente, questo meccanismo sperequativo fosse finalmente superato.
Tanto ciò è vero che, a partire dall’anno 2023, la legge di bilancio prevedeva che sarebbero tornate in vigore le regole ordinarie sulla base delle quali provvedere al calcolo della perequazione (ovvero la rivalutazione).

Quali sono queste regole che avrebbero dovuto tornare ad essere applicate dal 2023?

Sono le regole, tutto sommato molto semplici, previste nella legge 388/2000 la quale prevedeva che la rivalutazione automatica annuale delle pensioni (la perequazione appunto) avvenisse come di seguito, in base a tre scaglioni:

100% sino a 4 volte il minimo;
90% tra 4 e 5 volte ;
75% se superiore a 5 volte.

Questo sistema, pur non perfetto, è stato, di nuovo, stravolto a detrimento di una gran parte dei pensionati solo in nome delle arcinote esigenze di bilancio ma in un momento storico ed economico in cui l’erosione dei redditi (e della pensione) da parte dell’inflazione è particolarmente evidente.
Altra nota importante.
La pensione di tutti gli aventi diritto veniva rivalutata al 100% sino a 4 volte la minima, sulla parte eccedente e sino a 5 volte, riceveva un rivalutazione del 90% e per la parte ancora eccedente, la perequazione scendeva al 75%.
Tuttacvia, con la legge di bilancio per l’anno 2023 (l. 197 del 2022) è stata sdoganata l’ introduzione, per il biennio 2023 – 2024 di sei fasce di rivalutazione a seconda dell’importo del trattamento pensionistico.
Tra l’altro le sei fasce di nuova introduzione sono strutturate diversamente rispetto agli scaglioni previsti dalla L. 388 del 2000.

COSA PREVEDE LA LEGGE DI BILANCIO 2023:
La perequazione VIENE applicata una volta sola nell’anno e prevede innanzitutto la fissazione del “tasso” (la percentuale sull’inflazione) in forza del quale rivalutare ogni singola pensione.

Il tasso viene ufficializzato con un decreto interministeriale, emanato di concerto dal Ministero del Lavoro e da quello dell’ Economia e Finanze, che lo determina quale valore medio dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie.

Tale valore, calcolato sull’anno precedente quello della rivalutazione, è stato fissato per il 2023 pari al 7,3%.

Questo significa che le pensioni rivalutabili al 100% fruiranno di una maggiorazione che, al massimo, potrà arrivare al 7,3%.
Facciamo due calcoli utilizzando il parametro massimo (7,3%) e applicandolo alle varie pensioni con il decremento percentuale previsto dalla Legge di Bilancio per il 2023.

Il trattamento minimo INPS per il 2022 è pari ad 525,38 euro, che rivalutato (perequato) al 100%, ovvero al 7,3%, sarà rivalutato con un aumento di 38,35 euro mensili, passando, così la pensione minima da €525,38 ad € 563,73.

Con la legge di bilancio per il 2022 (L. 234 del 2021) il Governo precedente aveva deciso che, per l’anno 2023, si sarebbe fatto ritorno al meccanismo dei tra scaglioni di cui alla L. 388 del 2000 e così, per l’anno 2023, la perequazione dell’assegno pensionistico sarebbe stata come di seguito:

  • 100% dell’inflazione per le pensioni di importo fino a 4 volte il trattamento minimo INPS;
  • 90% dell’inflazione per le pensioni di importo compreso tra 4 e 5 volte il minimo;
  • 75% dell’inflazione per i trattamenti pensionistici oltre 5 volte il minimo.

Tuttavia, con la Legge di bilancio 2023, la 197 del 29 Dicembre 2022, il Governo attuale ha mischiato per l’ennesima volta le carte, tentando di dragare risorse sottraendole, di fatto, ai pensionati e così è stato adottato un nuovo meccanismo, che varrà, per ora, solo per il biennio 2023 – 2024 che premia le pensioni al minimo, preservando la rivalutazione piena per gli assegni di importo fino a 4 volte il minimo ma riduce progressivamente e
pesantemente l’indicizzazione (cioè la rivalutazione) di tutti i trattamenti oltre 4 volte il minimo con uno schema che prevede un’articolazione in sei fasce per il biennio 2023 – 2024:

Preme evidenziare che tutte le somme di seguito indicate sono al lordo e non al netto.

  • Per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS (2.101,52 euro), le pensioni saranno rivalutate nella misura del 100 per cento (pieno 7,3%) per cui in tale fascia di riferimento i pensionati non riceveranno alcun danno.

Per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS (2.101,52 euro):

  • le pensioni verranno adeguate nella misura dell’85 per cento del 7,3%, ovvero in una percentuale del 6,21%, per le pensioni complessivamente pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS (2.626,90 euro);
  • per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo la rivalutazione scenderà al 53 per cento del 7,3%, ovvero al 3,87%. Si tratta delle pensioni di importo lordo compreso tra i 2.626,91 euro (superiori a 5 volte la minima) ed € 3.152,28 lordi, cioè quelle pari o inferiori a sei volte la minima;
  • per le pensioni di importo superiore ad € 3.152,28, ovvero a sei volte il trattamento minimo la perequazione (ovvero la rivalutazione) e sino ad € 4.203,04 (pensioni pari o inferiori a 8 volte la minima) scenderà ulteriormente sino al 47 per cento del 7,3% ovvero al 3,43%;
  • per i trattamenti pensionistici di importo superiore a otto volte il trattamento minimo (4.203,04 euro) e pari o inferiori a 10 volte la minima ovvero € 5.253,80 lordi) la rivalutazione calerà ulteriormente al 37 per cento del 7,3% attestando al 2,70%;
  • per le pensioni di importo superiore a dieci volte il predetto trattamento minimo, ovvero superiori ad € 5.253,80 lordi, la rivalutazione avverrà nella misura del 32 per cento del 7,3% ovvero nella misura del 2,34%.

Per cui se raffrontate con gli scaglioni di cui alla L. 388 del 2000 ripristinati dalla legge di bilancio per l’anno 2022, il c.d. sistema a fasce risulta più svantaggioso a partire dai redditi medio alti.

Ad esempio con il nuovo sistema chi riceve assegni superiori a quattro volte la minima: una pensione di 3mila euro lordi al mese al 31 dicembre 2022 sarà rivalutata in modo secco del 3,869%, cioè 116 euro al mese.

Con le vecchie regole, di cui alla L. 388 del 2000, l’aumento sarebbe stato di 208 euro al mese.

Una pensione di 6mila euro lordi, riceverà 140 euro di aumento contro i 373euro che avrebbe ottenuto in precedenza.

Tra l’altro questo meccanismo troverà applicazione anche per l’anno 2024, provocando un ulteriore danno e sbilanciamento a quasi tutte le fasce di pensionati con un risparmio evidente, quanto illegittimo, solo per le Casse dello Stato.

La posizione della Corte Costituzionale.

Secondo la giurisprudenza costituzionale, nella prospettiva dell’art. 38, secondo comma, Cost., la perequazione automatica “è uno strumento di natura tecnica volto a garantire nel tempo l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici, dei quali salvaguarda il valore reale al cospetto della pressione inflazionistica”.

Per cui se nel recente passato con la pressione inflazionistica poco rilevante era stato considerato legittimo il meccanismo che prevedeva la perequazione automatica differenziata decrescente per le pensioni più elevate, oggi la spinta inflazionistica impone un ragionamento di altra natura e sicuramente assai più articolato e complesso, ben potendo questo meccanismo decrescente della perequazione comportare una perdita notevole del potere di acquisto per le pensioni medio-alte.

Per cui occorre verificare se l’evidente sacrificio e pregiudizio che viene imposto obtorto collo ai pensionati della Fasce da 2 a 6, sia compatibile con i principi esposti dalla Corte Costituzionale.

Devesi infatti evidenziare che il sistema introdotto dalla L. 197 del 2022, non è più a scaglioni ma, come precisato sopra, prende in esame direttamente il c.d. lordo pensione e, quindi, NON può più garantire l’adeguatezza del trattamento pensionistico rispetto all’aumento del costo della vita indicizzato (istat), non essendo palesemente più idoneo a salvaguardare il reale valore della pensione rispetto alla pressione inflazionistica (principio statuito dalla recente Corte Cost. 234 del 2020).

Già peraltro nel 2015 la Corte Costituzionale nella sentenza n. 70/2015 osservava che:
“la perequazione automatica dei trattamenti pensionistici è uno strumento di natura tecnica, volto a garantire nel tempo il rispetto del criterio di adeguatezza di cui all’art. 38, secondo comma, Cost. tale strumento si presta contestualmente a innervare il principio di sufficienza della retribuzione di cui all’art. 36 Cost., principio applicato, per costante giurisprudenza di questa Corte, ai trattamenti di quiescenza, intesi quale retribuzione differita (fra le altre, sentenza n. 208 del 2014 e sentenza n. 116 del 2013)”.

Come rilevato ulteriormente dalla medesima Corte Costituzionale nella sentenza 70/15 “…. gli aumenti della perequazione bloccati non vengono mai più recuperati. I blocchi della perequazione, infatti, sono solo all’apparenza temporanei, ma in realtà producono effetti permanenti, poiché l’importo che è stato sottratto dalla pensione mensile non verrà mai più recuperato negli anni successivi, e rimane come un vulnus perpetuo nel trattamento pensionistico, finendo addirittura per danneggiare anche la pensione di reversibilità del coniuge”.

Per cui, gli effetti permanenti dei blocchi della perequazione, soprattutto se reiterati, non possono essere costituzionalmente accettati, poiché creano un vulnus perpetuo ed irrimediabile all’adeguatezza della pensione di cui all’art. 38 Costituzione, alla luce anche dell’art. 36 Costituzione.
Per cui e in definitiva la Corte Costituzionale ha ritenuto che eventuali difformità nella perequazione degli assegni pensionistici non debbano mai, travalicare i limiti di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità cosa che, invece e all’evidenza, la L. 197 del 2022 fa.

CHI PUO’ FARE RICORSO.

PENSIONATI del settore pubblico e privato che percepiscono una pensione lorda superiore a 4 volte la pensione minima (€ 2.102,53), possono fare ricorso al Giudice chiedendo che venga disapplicata nei loro confronti la L. 197 del 2022 (istitutiva delle 6 fasce) con applicazione della più favorevole L. 388 del 2000 (introduttiva dei c.d. tre scaglioni), sollevando eccezione di incostituzionalità della L. 197 del 2022 per contrasto con gli artt. 36 e 38 Cost.

La competenza sarà del Tribunale del Lavoro del luogo in cui risiede il pensionato tranne che per le Forze Armate ed il comparto difesa e sicurezza, per cui sarà competente la Corte dei Conti del luogo di residenza.

Verranno fatti ricorso collettivi preceduti da apposita diffida ad INPS.

Non importa la data di pensionamento in quanto il pregiudizio decorre dall’anno 2023.

Il costo sarà di € 120,00 comprensivo di Iva e non sarà prevista nessuna percentuale in caso di esito favorevole.

Per partecipare, oltre alla procura alle liti e al versamento della somma sopra indicata, occorrerà inviare il modello INPS 5007 di ciascun partecipante (eventualmente scaricabile sul sito INPS nella parte di accesso riservata) e almeno un cedolino pensione INPS.

Per contatti 334.7606766 Pier Bruno Dessì collaboratore di studio

Avv. Matteo Pavanetto

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