Forlì, 4/05/2020

La prescrizione delle cartelle di pagamento è quinquennale – cassazione a sezioni unite del 17.11.2016.

La conferma del 2020.

Come avevo precedente scritto, la Corte di Cassazione –prima con la recente ordinanza n. 20213/15, depositata in data 08.10.2015 – aveva affrontato la dibattuta questione circa la prescrizione da applicare ai crediti erariali (fiscali e contributivi/previdenziali), ossia se quella quinquennale (art. 2948 c.c.) o decennale (art. 2946 c.c.), stabilendo che opera la prescrizione quinquennale, laddove il titolo esecutivo sia unicamente costituito dalla cartella esattoriale dell’Ente di Riscossione (ad esempio Equitalia).
In particolare, secondo tale sentenza, la prescrizione ordinaria (decennale) “è tutta riferibile a titoli di accertamento-condanna (amministrativi o giudiziali) divenuti definitivi” (inclusi quindi, a titolo esemplificativo, gli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate) e “non già invece le cartelle esattive” (ovvero quelle notificate a mente dell’art. 36bis – art. 36ter, D.P.R. n° 600/73).
In effetti, proseguivano i giudici, i provvedimenti esattoriali di Equitalia (ma non solo) sono “adottati in virtù di procedure che consentono di prescindere dal previo accertamento dell’esistenza del titolo” (atto di accertamento emesso direttamente dall’Ente impositivo) e pertanto le cartelle di pagamento “non possono per questo considerarsi rette dall’irretrattabilità e definitività del titolo di accertamento”.
A ciò si aggiunga – ad ogni modo – un ulteriore elemento di valutazione: al fine di rendere pacifica l’applicabilità del termine di prescrizione ordinario (dieci anni), il creditore chiamato in causa (sia l’Ente della Riscossione, sia l’Ente impositivo dovrà produrre in giudizio il “titolo definitivo” della pretesa, ossia “il provvedimento amministrativo di accertamento o la sentenza passata in giudicato”, emessi “antecedentemente all’emissione delle cartelle”; in difetto opererà la prescrizione quinquennale.
Permanendo, tuttavia, un forte contrasto a livello giurisprudenziale, soprattutto nei giudizi di merito, era intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che con la sentenza n. 23397 del 17.11.2016 aveva statuito che: “la scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato.
E’ di applicazione generale il principio secondo il quale la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito ma non determina anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti – comunque denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali nonchè delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo.
Pertanto, in buona sostanza, se Equitalia non ha provveduto a dare corso all’esecuzione forzata nel termine perentorio di 5 ANNI, dalla notificazione di ogni singola cartella di pagamento si potrà ricorrere alla competente Commissione Tributaria per chiedere la declaratoria della prescrizione delle cartelle di pagamento in parola.
In materia, a conferma di questo orientamento, oramai cristallizzato, è intervenuta in due occasioni la Corte di Cassazione che con ordinanza 1824 del 27.1.2020 e con sentenza 1652 del 24.1.2020, ha, ancora una volta confermato che il termine di prescrizione delle cartelle aventi ad oggetto crediti previdenziali (Inps e Inali) è sempre di 5 anni.
Nella sentenza 1652 del 2020 ha anche ribadito che la scadenza dei termini di prescrizione dello stesso tributo previdenziale (INPS e INail) è di anni 5, come previsto dall’art. 3 Legge 335 del 1995, conformandosi, di nuovo a costante Giurisprudenza sul punto.
Nella ordinanza 1824 del 27.1.2020 della Suprema Corte si legge “E’ stato osservato da questa Corte che il conferimento al concessionario della funzione di procedere alla riscossione dei crediti, nonchè la regolamentazione ex lege della procedura e la previsione di diritti e obblighi del concessionario stesso, non determina il mutamento della natura del credito previdenziale e assistenziale, che è assoggettato per legge ad una disciplina specifica. Nè tantomeno potrebbe determinarsi in tal modo una modifica del regime prescrizionale, che per i contributi sarebbe incompatibile con il principio di “ordine pubblico” dell’irrinunciabilità della prescrizione, valorizzato anche dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 23397 del 17/11/2016, che ha affermato il principio richiamato dal giudice di merito ed alla quale occorre dare continuità (vedi sul punto anche Cass., Sez. lav., 15 ottobre 2014, n. 21830; Id. 24 marzo 2005, n. 6340; Id. 16 agosto 2001, n. 11140; Id. 5 ottobre 1998, n. 9865; Id. 6 dicembre 1995, n. 12538; Id. 19 gennaio 1968, n. 131). In assenza di un titolo giudiziale definitivo, che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito e produca la rideterminazione in dieci anni della durata del termine prescrizionale ex art. 2953 c.c., continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3 e non ricorrono pertanto i presupposti per l’applicazione della regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. 4”.
Analogamente, la sentenza della Corte di Cassazione n.1652 del 24.1.2020 dispone “E’ noto che la complessa questione è stata risolta in via definitiva dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 23397/2016 in ordine alla quale è stata emessa la seguente massima ” La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato.”
Per cui, non vi sono dubbi di sorta sul fatto che allorquando le cartelle di pagamento abbiano ad oggetto tributi aventi natura previdenziale le stesse, così come il tributo cui accedono, si prescrivono in 5 anni e non in 10 anni, non avendo la cartelle attitudine ad acquistare efficacia di giudicato come, ad esempio, una sentenza definitiva.
Le cartelle di pagamento infatti, come ribadisce la Suprema Corte, hanno natura di atti amministrativi.

Avv. Matteo Pavanetto

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